“Il Fiume di Lava”

Tra Ercolano e Massa di Somma strizzando l’occhio a San Sebastiano, questo sentiero è breve ma offre uno dei panorami più belli del parco. Una passeggiata sulla lava del 1944.

Per accedere al sentiero numero nove si può seguire lo stesso itinerario che da San Sebastiano al Vesuvio ci conduce al numero otto, presentato nel precedente articolo. Un’alternativa può essere invece quella di entrare dall’ingesso che affaccia sulla strada provinciale (a quota 572 m), poco al di sotto della sede storica dell’Osservatorio Vesuviano e di ciò che rimane dell’Hotel Eremo (c’è un ristorante di recente apertura e un uno spiazzo utile come parcheggio nelle immediate vicinanze). Da qui, in discesa, raggiungiamo facilmente il piccolo spiazzo, corredato di segnaletica e recenti lavori di regimazione delle acque e di allestimento di una piccola area di sosta, che coincide col punto d’arrivo del sentiero n°8 (Il Trenino a Cremagliera).

Il tracciato del sentiero n°9 riportato dall'autore dell'articolo su IGM 1:25.000
Il tracciato del sentiero n°9 riportato dall’autore dell’articolo su IGM 1:25.000

S’imbocca dunque la stradina a monte che, in questo caso, incontriamo sulla nostra destra (altrimenti, in salita, da San Sebastiano, sarà giusto di fronte). Dopo poco questa si trasforma in discesa che tra la folta vegetazione, prevalentemente lecci e robinie, si apre gradualmente fino a farlo completamente sulla spettacolare colata lavica del 1944 (dopo 530 m e a quota 517 m.slm).

Il Gran Cono del Vesuvio che si scorge dal Fosso della Vetrana. (foto di C.Teodonno)
Il Gran Cono del Vesuvio che si scorge dal Fosso della Vetrana. (foto di C.Teodonno)
Il sentiero n°9 (foto di C.Teodonno)
Il sentiero n°9 (foto di C.Teodonno)
Ristrutturazione con area attrezzata lungo il sentiero (foto di C.Teodonno)
Ristrutturazione con area attrezzata lungo il sentiero (foto di C.Teodonno)
Antica briglia presente lungo il sentiero (foto di C.Teodonno)
Antica briglia presente lungo il sentiero (foto di C.Teodonno)
I Cognoli di Giacca, le prime propaggini del Somma che si elevano dal Fosso della Vetrana (foto di C.Teodonno)
I Cognoli di Giacca, le prime propaggini del Somma che si elevano dal Fosso della Vetrana (foto di C.Teodonno)
La colata lavica del 1944 vista dal Fosso della Vetrana (foto di C.Teodonno)
La colata lavica del 1944 vista dal Fosso della Vetrana (foto di C.Teodonno)
Lo Stereocaulon vesuvianum il lichene che ha colonizzato le lave vesuviane. (foto di C.Teodonno)
Lo Stereocaulon vesuvianum il lichene che ha colonizzato le lave vesuviane. (foto di C.Teodonno)
Il Gran Cono del Vesuvio che si scorge dal Fosso della Vetrana. (foto di C.Teodonno)
Il Gran Cono del Vesuvio che si scorge dal Fosso della Vetrana. (foto di C.Teodonno)

In questo luogo, conosciuto anche come il Fosso della Vetrana (da Veterana) per la presenza di una chiesetta basiliana dedicata al culto mariano omonimo e della quale oramai se ne sono perse del tutto le tracce; l’edificio si trovava presso le pendici dei Cognoli di Giacca e fu distrutto a più riprese dalle eruzioni del 1785, 1855 e 1872.

Qui, il giorno 19 marzo 1944, tracimò il magma incandescente proveniente da uno dei tre flussi lavici principali fuoriusciti dal cratere (uno meridionale esauritosi a quota 350 e l’altro in direzione nord e il terzo fermatosi presso la pineta del Tirone). In maniera lenta ma inesorabile (300 m/h) la colata settentrionale, seguendo il tragitto delle lave del 1855 e del 1872, raggiunse gli abitati di San Sebastiano e Massa di Somma, ricoprendo i due terzi del loro territorio. Il flusso colpì le prime case all’alba del 21 marzo, fermandosi definitivamente solo il giorno dopo. Una lingua di fuoco deviò dal suo cammino principale in direzione Lave Novelle (Ercolano) ma s’arrestò non dopo aver raggiunto e danneggiato la Stazione/Centrale Elettrica della Ferrovia Vesuviana (l’edificio dell’attuale “Stazione Cook”).

Lo scenario odierno lascia solo in parte immaginare l’inferno del 1944, la vegetazione rigogliosa di una volta, quella che colorava e profumava tutto il fiume pietrificato è stata annientata dall’incendio del luglio 2017; lo stereocaulon vesuvianum, un lichene autoctono, aveva colonizzato con argentee foglioline le dure pietre laviche, ne aveva eroso lentamente la struttura, creando il primo humus ideale perché le piante colonizzatrici attecchissero ma anche questo scenario appartiene al passato e dovremo attendere anni prima di tornare a viverlo.

Oggi ginestre, valeriana ed elicriso provano a ridare a questo luogo uno scenario tutt’altro che infernale e il panorama che ci si presenta è per fortuna ancora di quelli tra i più belli delle nostre passeggiate, con la colata lavica davanti a noi, a settentrione e a occidente Napoli, il golfo, le isole e tutto l’hinterland partenopeo sono facilmente distinguibili da questo splendido balcone naturale. Più in basso si intravedono San Sebastiano e Massa di Somma e in particolar modo via Luca Giordano che, al confine dei due centri, segna con una netta linea retta l’ovest, proprio dove la lava, nel 1944 e nel 1872, perdendo la sua spinta, risparmiò l’abitato di Cercola. Il percorso prosegue sulla pietra lavica fino a interrompersi ai margini quasi impenetrabili del bosco del Molaro, parzialmente risparmiato dal fuoco del 2017; all’ombra di una roverella (dopo 870 m) contempliamo la meraviglia di cui siamo partecipi e prendiamo la via del ritorno. Prima di rientrare nella boscaglia da cui proveniamo volgiamo lo sguardo a sinistra (Est) e, a monte, scorgeremo la sommità del cratere che appena affiora, sulla sinistra dal duomo lavico di Colle Umberto. A destra osserviamo poi la sede storica dell’Osservatorio Vesuviano, un edificio rosso situato sulla collina del Salvatore, il più antico osservatorio vulcanologico del mondo, fondato nel 1841 da Ferdinando Il di Borbone, anche se oggi la sua funzione è prevalentemente museale (il centro di sorveglianza è attualmente a via Diocleziano a Napoli). A ritroso, sul sentiero, prima di montare la salita, possiamo osservare sulla nostra destra una briglia, vestigia di quell’importante sistema di regimentazione delle acque che in epoca borbonica e post-unitaria arginarono o rallentarono le colate di fango o le copiose acque meteoriche, e dove gli operai andavano a prelevare il sabbione vulcanico, utile per impastare le malte per l’edilizia dell’epoca. Ad oggi, queste strutture, potenzialmente ancora funzionali rimangono abbandonate a se stesse. Raggiunto quindi nuovamente lo spiazzo prenderemo la nostra strada, sia essa quella che va a monte, verso la provinciale e Contrada Osservatorio, sia quella che scende a valle lungo il sentiero 8, verso San Sebastiano come in precedenza illustrato.

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